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18 Maggio 2021
Storie di razzismo nelle università americane
Svariati afro-discendenti vittime di episodi di intolleranza all’interno di prestigiosi atenei hanno denunciato la situazione socio-accademica del Paese
Giovanni B. Corvino
Il razzismo nei campus universitari Usa sembra essere un fenomeno in continua crescita. A causa di pregiudizi e stereotipi, la discriminazione perpetua un sistema di inuguaglianza che compromette il successo di potenziali brillanti studenti.
Episodi quotidiani di micro-aggressioni, insulti – verbali e non – sono stati denunciati da un recente articolo di Forbes. Emergono così le motivazioni per cui, ancora oggi, essere afro-discendente può determinare il tuo futuro.
La Cnn ha riportato negli anni diverse vicende, tra cui quella della studentessa nera 34enne Lolade Siyonbola, diventata presto virale grazie a una denuncia su Facebook che ha raggiunto migliaia di condivisioni. Iscritta regolarmente alla prestigiosa Yale University, la ragazza stava schiacciando un pisolino in un’area comune della facoltà. Ciò è stato sufficiente per portare una coetanea a chiamare la polizia, che ha iniziato un vero e proprio interrogatorio credendo che Siyonbola fosse entrata illegalmente nel campus.
Recentemente Princess Dennar – la prima e unica donna nera direttrice della Tulane Medical School (Louisiana) – è stata sospesa a seguito delle sue denunce per comportamenti sessisti e razzisti nei suoi confronti, apparentemente compiuti dai suoi superiori, tutti maschi bianchi.
Sempre quest’anno, la docente afroamericana Ericka Hart della Columbia University (New York) ha denunciato la mancanza di supporto istituzionale nella risoluzione di controversie basate sul colore della pelle.
La professoressa sostiene che uno studente bianco abbia spesso avuto un atteggiamento razzista nei suoi confronti, interagendo in classe con battute transfobiche e che denigravano anche il genere femminile. Hart si è rivolta alla rettrice Monique Jethwani per chiederle consiglio su come gestire questa situazione, ma la risposta sarebbe stata: «Quindi gli studenti non possono essere in disaccordo con te in classe?».
Successivamente non le è stato rinnovato il contratto dopo quattro anni di lavoro e così non ha potuto continuare la sua battaglia. Nonostante il corso avesse molti iscritti ogni anno, si è pensato di non rinnovare l’offerta formativa a causa di tagli di budget legati al Covid-19 ma, in realtà, l’incarico è stato affidato a un docente bianco che insegna basandosi sul programma creato dalla Hart.
Quest’ultima ha pensato d’intentare causa ma non si può permettere le spese legali, così questa vicenda rischia di perdersi nell’oblio.
Da dove nasce tutto questo razzismo? Le origini risalgono allo stigma derivante dall’epoca schiavista, sostenuto dall’ideologia suprematista bianca del ventesimo secolo.
Esso ha plasmato parte del tessuto sociale, per cui commettere illeciti civili nei confronti del “non-bianco” rappresentava la volontà di ristabilire le gerarchie di razza e dominanza della vita di piantagione. Basti pensare che, fino al Voting Rights Act del 1965, i neri non hanno potuto esprimere il proprio pensiero attraverso il voto, men che meno all’interno delle università, dove in molti casi non erano ammessi.
Cosa manca alle università americane per una maggiore integrazione accademica? La risposta più condivisa è un’educazione basata sull’ascolto attivo “dell’altro”. Sorge però spontaneo domandarsi come questa possa avvenire, quando è l’istituzione stessa a compromettere gli equilibri di equità su cui dovrebbe poggiare il sistema.