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20 Maggio 2021

La Francia protegge le sue lingue regionali

Un disegno di legge in via di approvazione le considera patrimonio immateriale e ne prevede l’insegnamento a scuola e l’uso nella comunicazione istituzionale

Noemi Casale

Cartina Francia con lingue regionali

In Francia esistono una ventina di lingue regionali

Adottata nel mese di dicembre dal Senato, la proposta di legge Protezione patrimoniale e promozione delle lingue regionali avanzata dal deputato bretone Paul Molac è stata adottata lo scorso aprile in seconda lettura all’Assemblea nazionale; il testo ha ricevuto 247 voti a favore, 76 contro e 19 astensioni.
Alcuni deputati contrari, però, hanno deciso di rivolgersi alla Corte Costituzionale, che entro dopodomani 22 maggio dovrà esprimersi sulla legittimità delle disposizioni. Se la valutazione sarà positiva il testo diventerà legge, altrimenti sarà un nulla di fatto.

Secondo la Dglflf – Delegazione Generale alla Lingua Francese e alle Lingue di Francia (il massimo organo in materia) esistono oggi una ventina di lingue regionali nel territorio dell’esagono e circa una cinquantina nei territori d’oltremare. Tuttavia la loro pratica diminuisce.
Il bretone, il corso, l’alsaziano, l’occitano, il catalano e il basco, oggetto di un lungo dibattito politico, potrebbero ora essere tutelati da questa legge, che definisce tre domini d’azione: il patrimonio, l’insegnamento e i servizi pubblici.

Per quanto riguarda il primo, il testo riconosce l’esistenza di un patrimonio linguistico costituito dalla lingua francese e dalle lingue regionali: anche queste sono considerate beni immateriali che bisogna proteggere e promuovere. La legge accorderebbe così lo statuto di “tesoro nazionale” (e quindi una protezione particolare) ad esempio ad antichi manoscritti o registri utili alla conoscenza e allo studio di questi idiomi.

Il testo approvato permette poi alle scuole pubbliche di proporre dei filoni facoltativi di insegnamento immersivo e senza pregiudizio per il percorso di acquisizione del francese: si tratta di una terza via, in parallelo all’insegnamento pubblico bilingue, già presente. La maggior parte dell’apprendimento avverrebbe dunque nella lingua regionale, mentre il francese si introdurrebbe progressivamente, rendendo i bambini bilingui sin dalla scuola primaria.
Un’altra possibilità sarebbe la generalizzazione dell’insegnamento delle lingue regionali, quindi avere il dialetto come materia opzionale nel quadro del normale orario di insegnamento. Come, dopotutto, avviene da oltre vent’anni in Corsica.

Il terzo filone di intervento porta infine al riconoscimento ufficiale della segnaletica bilingue per i luoghi pubblici, i cartelli stradali e la comunicazione istituzionale.
In questo quadro, la legge mette un punto alle difficoltà incontrate dai genitori che per i figli scelgono nomi legati alle tradizioni regionali: i segni diacritici (aggiunti a una lettera per modificarne la pronuncia o per distinguere il significato di parole simili) sono perciò autorizzati dalle autorità negli atti di stato civile.

 

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