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18 Giugno 2021

Valentina Petrillo, dalle strade di Napoli allo stadio di Tokyo

Abbiamo intervistato la prima atleta donna transgender ipovedente che potrebbe rappresentare l’Italia nei prossimi Giochi Paralimpici

Giovanni B. Corvino

Donna da atletica con pollice in su - Valentina Petrillo

Valentina Petrillo

La sua è una storia di coraggio, determinazione e “voglia di correre” che non ha precedenti.
Con importanti vittorie alle spalle, Valentina Petrillo, ipovedente, sogna di vincere una Paralimpiade, nonostante l’inclusione sportiva delle donne transgender nelle gare femminili sia oggetto di dibattito e scontro. Secondo alcuni la capacità polmonare, la forza muscolare e la resistenza dell’atleta italiana sarebbero superiori a quelle delle altre concorrenti, considerato il suo passato da uomo. Per il Comitato Olimpico Internazionale, a essere importanti sono i livelli di testosterone ed estrogeni nel corpo e quelli di Valentina non superano il limite imposto.
Lasciamo che sia proprio lei a parlarci della sua corsa verso le Paralimpiadi.

Raccontaci un po’ di te.
«Sono nata a Napoli nel 1973. All’età di 14 anni è sopravvenuta una malattia degenerativa agli occhi, chiamata Sindrome di Stargardt. Per questo motivo ho dovuto cambiare indirizzo di studio, passando da geometra a ragioneria. Dopo il diploma ho studiato informatica in una scuola per ciechi e ipovedenti di Bologna, dove ho conseguito il titolo di programmatore elettronico. Attualmente, svolgo proprio questo lavoro. Purtroppo, nel mondo dell’atletica, le fonti economiche sono molto ridotte ed è difficile poter vivere di questo. Solo alcuni atleti a livello mondiale riescono a farlo».

Quand’è nato il tuo amore per l’atletica leggera?
«Avevo 15 anni quando feci il mio primo allenamento, dopo una prova che vinsi pur indossando i mocassini, mentre tutti gli altri avevano le scarpe da ginnastica. Nonostante ciò, l’allenatore mi disse che quello non era il mio sport perché non sapevo correre e, per di più, correvo come le donne».

Cosa ti piace di più di questo sport?
«La competizione: è il momento della gara in cui viene finalizzato tutto il lavoro fatto in precedenza. Io la chiamo “la festa”. Gli allenamenti, invece, sono spesso davvero molto duri. Bisogna veramente essere sempre concentrati sull’obiettivo ed essere determinati, altrimenti c’è il rischio di mollare tutto».

Ad oggi, quanti titoli hai vinto?
«Ho vinto 11 titoli italiani da maschio nella categoria paralimpica T12 e T13. Da donna ho vinto 6 titoli italiani paralimpici, oltre a varie altre competizioni».

Come trascorri ora le tue giornate?
«Gran parte della mia giornata è finalizzata all’allenamento quotidiano. Le altre ore le dedico al mio lavoro come programmatore elettronico e a mio figlio, che ha quasi 6 anni».

La terapia ormonale che stai seguendo incide sulla tua ipovisione?
«No, non incide sulla mia disabilità visiva, o meglio, per il momento non ho nulla da evidenziare di diverso. Sono seguita sotto scrupoloso controllo medico ogni 6 mesi perché si tratta di una patologia degenerativa. Invece le mie prestazioni fisiche sono peggiorate. In tre mesi ho perso quasi 12 secondi sui 400 metri e, in generale, la mia forza fisica non è più la stessa rispetto a prima della transizione».

Se stata intervistata dalla Bbc, a cui hai parlato della prossima uscita di un film sulla tua vita. Puoi darci qualche indiscrezione?
«È stata una bellissima scoperta di me stessa, perché il film documenta e testimonia il mio passaggio da uomo a donna. Quando mi rivedo, constato che all’inizio ero molto incerta, titubante e ansiosa. Poi mi sono abituata alle telecamere e mi sono anche scoperta più vanitosa di quanto credessi».

Cos’è successo dopo l’intervista alla tv inglese?
«Ho ricevuto tanti messaggi di stima, ma anche qualche critica, assolutamente preventivabile. Al momento mi definisco una sportiva, anche se sono consapevole che la mia storia porta con sé tanti significati. Sono cosciente di avere una grossa responsabilità nei confronti del mondo Lgbtqia+ che rappresento».

A tal proposito, stai conducendo qualche battaglia in particolare?
«Sono in prima linea per l’approvazione in Senato del Ddl Zan, poiché rappresenterebbe un’importante tutela che purtroppo, nel nostro paese manca e questo lo dico sia come persona transgender che come persona disabile. Un altro tema che mi è particolarmente caro, e per cui voglio combattere, è il diritto all’identificazione del genere percepito, che oggi in Italia deve passare attraverso l’approvazione di un tribunale, con costi elevati e tempi lunghi. È necessaria una svolta drastica, che accorci i tempi burocratici e abbatta i costi della pratica».

Queste tue battaglie derivano anche da episodi di discriminazione che ti hanno coinvolta in prima persona?
«Sì, sono stata vittima di discriminazione alla mia prima apparizione, nel 2020, in occasione di una competizione della Federazione Italiana di Atletica Leggera, quando ho vinto i Campionati Italiani Master nei 200 metri. Purtroppo all’ingresso in pista, al termine della gara e anche sul podio sono stata messa in disparte».

Quali progetti hai in cantiere?
«Mi piacerebbe entrare in polizia per meriti sportivi, così come tante mie colleghe e colleghi della nazionale paralimpica, ma so che è un percorso difficile perché non c’è mai stata alcuna transgender».

 

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Categorie: Sport

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