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31 Agosto 2021

Daisy Osakue, un lancio lungo da Moncalieri alla finale olimpica

Abbiamo intervistato la discobola azzurra che in Giappone ha eguagliato il record italiano della disciplina

Adele Geja

Ragazza che tira il disco - Daisy Osakue

Daisy Osakue

Si sono concluse da poche settimane le Olimpiadi di Tokyo, con ottimi risultati per l’atletica italiana. La nazionale è infatti tornata a casa con lo storico bottino di 5 medaglie d’oro e 11 primati italiani assoluti. Tra gli azzurri della squadra da record c’era anche Daisy Osakue, la 25enne di Moncalieri primatista del lancio del disco cresciuta sul campo torinese della Sisport e attualmente tesserata per le Fiamme Gialle.
Dal Texas, dove risiede da quattro anni e dove sta concludendo il Master in Comunicazione presso la Angelo State University, ci ha raccontato la sua esperienza ai Giochi, in cui ha conquistato la finale nel lancio del disco, eguagliando il record italiano ottenuto da Agnese Maffeis nel 1996.

Quanti giorni sei stata a Tokyo?
«Ricevuta la convocazione ufficiale il 1° luglio, sono partita per il Giappone il 23: arrivati il 24 in aeroporto, ci siamo spostati a Tokorozawa, cittadina non lontana dalla capitale dove alloggiavamo in un campus riservato alla nazionale italiana. Il 28 mi sono trasferita al villaggio olimpico di Tokyo, dove sono stata fino al 5 agosto, giorno in cui il mio gruppo è tornato in Italia insieme alle squadre maschili di pallavolo e basket».

Come trascorrevi le giornate in cui non gareggiavi?
«Sia a Tokorozawa che al villaggio seguivo la stessa routine quotidiana: mi svegliavo presto, mi allenavo insieme agli altri lanciatori, facevo fisioterapia, pranzavo e nel pomeriggio facevo una passeggiata o guardavo le altre gare in diretta streaming, mentre di sera giocavo a carte con le mie compagne di stanza. Non abbiamo potuto organizzare molte attività a causa della situazione Covid: benché fossimo tutti vaccinati, eravamo quotidianamente testati e avevamo un’applicazione sul cellulare che ci avvertiva se passavamo più di 15 minuti vicino ad altre persone. Tuttavia, mi sono divertita molto con i compagni della nazionale: siamo un bel gruppo e con molti di loro siamo amici da una vita».

Raccontaci la gara di qualificazione.
«La mattina del 31 luglio ho preso il bus diretto al campo per le 8 circa. Ho fatto riscaldamento ascoltando la mia musica preferita e poi sono entrata in call room 50 minuti prima dell’inizio. Ero agitata, ma grazie al grande lavoro fatto con la mia psicologa dello sport Miriam Jahier sono arrivata in pedana con la consapevolezza di essermi allenata bene e sapendo che l’importante era andare lì per vivere a pieno l’esperienza. Dopo il primo lancio di 52.26 metri non ero soddisfatta, ma ero tranquilla perché ho subito capito l’errore. Al secondo lancio mi sono detta di “menare”, senza pensare troppo alla tecnica e sperando nell’“o la va o la spacca”, che effettivamente ha funzionato. Il disco è atterrato lontano, a 63.66 metri, la mia miglior prestazione di sempre, con cui ho eguagliato il record italiano e che mi ha garantito l’accesso in finale il 1° agosto con la quinta misura».

Quali sono state le tue emozioni durante la finale?
«Non è andata come volevo: la gara è stata interrotta per il maltempo e mi sono fatta influenzare troppo dalla pioggia e dalle basse temperature, chiudendo al dodicesimo posto. Inizialmente ero arrabbiata e delusa, ma dopo un po’ mi è passata: Tokyo è stata un’olimpiade storica per l’atletica italiana, sapere che ero lì a fare la mia parte è stata una grandissima soddisfazione».

Qual è stato il momento più bello?
«Sicuramente quando ho capito la misura del secondo lancio nelle qualificazioni: mi sono messa a gridare come una matta! Era un urlo liberatorio, perché era tanto che non lanciavo sopra i 60 metri in gara e uscivo da un anno difficile tra Covid, lockdown e un infortunio alla schiena a marzo, un periodo negativo che mi aveva fatto dubitare del mio valore. Quel lancio è stato un bel riscatto, nel pomeriggio mi sembrava di volare, vivevo un sentimento di pace interiore pazzesco. Il giorno dopo è arrivata al villaggio Marilù (Maria Marello, allenatrice Sisport, fisioterapista della nazionale ed ex discobola azzurra ndr): appena l’ho vista mi sono messa a correre verso di lei, poi ci siamo abbracciate in silenzio per 20 minuti. È stato meraviglioso condividere con lei questa gioia: insieme ne abbiamo viste tante e sono davvero felice di averla resa orgogliosa».

E invece il momento più divertente?
«Terminata la finale, il mio dietista Giacomo Astrua mi ha detto: “Adesso puoi mangiare quello che vuoi” e ho subito seguito il consiglio alla mensa h24 del villaggio!».

 

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Categorie: Sport

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