Home » Cultura » Cosa succede quando le parole si svegliano?

19 Ottobre 2021

Cosa succede quando le parole si svegliano?

Domenica al Salone del Libro Vera Gheno, Federico Faloppa, Nadeesha Uyangoda e Loredana Lipperini hanno dialogato sull’importanza delle scelte linguistiche

Aurora Saldi

Incontro al Salone del Libro - parole

L’incontro al Salone del Libro su parole e razzismo

L’unica persona nera nella stanza (66thand2nd, 2021) di Nadeesha Uyangoda parla di razzismo e di cosa voglia dire essere una persona “razzializzata” in Italia. A partire da questa pubblicazione domenica al Salone del Libro si è tenuto un incontro intitolato Le parole, quando si svegliano, moderato dalla scrittrice conduttrice radiofonica Loredana Lipperini, a cui hanno partecipato Vera Gheno (linguista, autrice di Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole, Effequ, 2019), Nadeesha Uyangoda (scrittrice e giornalista, autrice del podcast Sulla razza) e Federico Faloppa (sociolinguista, autore di #ODIO. Manuale di resistenza alla violenza delle parole).
Il focus dell’appuntamento è stato il tema del linguaggio inclusivo e delle scelte linguistiche che combattono gli stereotipi e restituiscono visibilità alle persone tradizionalmente oppresse.

«Quali sono le parole che ti hanno suscitato un’epifania linguistica?», chiede in apertura Vera Gheno a Nadeesha Uyangoda. La scrittrice originaria dello Sri Lanka risponde: «Per citare il titolo dell’incontro, le mie parole si sono svegliate quando ho cominciato a scrivere di questioni razziali: ho scoperto che tante dei termini che avevo bisogno di usare erano mutuati dal contesto anglo-americano. Un esempio è la parola inglese colorism – continua – che rappresenta una discriminazione che porta svantaggi maggiori a chi ha la pelle più nera. La traduzione in italiano, colorismo, ha invece tutt’altro significato: la ricerca del colore in pittura. Eppure il colorismo è senza dubbio un fenomeno presente anche in Italia».
Uyangoda si è allora interrogata su molte parole che è abituata a usare quando parla di questi temi, come razza, bias, razzismo: da qui è nata la necessità di indagare meglio, con il suo libro, e di aprire un dialogo in merito con altre persone da lei definite “razzializzate”, con il suo podcast.

Tra le parole citate dalla scrittrice, la parola razza è particolarmente problematica, come spiega subito dopo Federico Faloppa, specialmente nel contesto della Costituzione italiana (art.3). Negli anni è nato un grande dibattito intorno alla possibile eliminazione di questo termine dai testi costituzionali (non solo italiani), rispetto alla quale il sociolinguista si dichiara contrario, perché la presenza stessa della parola razza tra le possibili discriminazioni costituisce un messaggio politico molto rilevante.

Proprio parlando di parole da eliminare e di quella che viene definita cancel culture, Loredana Lipperini interroga Vera Gheno: «Il linguaggio inclusivo è effettivamente, come molti oggi sostengono, una perdita di libertà? Il cosiddetto “politicamente corretto” sta effettivamente instaurando un regime in cui “non si può più dire niente”?». La linguista risponde che il presupposto con cui vengono sostenute queste posizioni è viziato dal principio, dal momento che a dichiarare che “non si può più dire niente” sono proprio, sui grandi media, quelle persone che storicamente hanno sempre avuto la possibilità di dire la propria opinione. «La società – aggiunge – sta mettendo in discussione il normocentrismo. Si sta rendendo conto che lo sguardo con cui osserva il mondo è inevitabilmente parziale. E questo sta mettendo in crisi chi, da quest’ottica parziale, è stato tradizionalmente avvantaggiato».

Nel libro di Uyangoda questo messaggio è centrale: è un testo che trasmette l’insostenibilità di uno sguardo solo bianco sul mondo. Si tratta di un pensiero molto simile a quello che la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie (che ha anche aperto il Salone del Libro quest’anno) ha sostenuto nel suo TedTalk di qualche anno fa, in cui avvertiva riguardo ai rischi di una sola narrazione.
«Alcuni spazi sono occupati soltanto da uno standard – spiega l’autrice de L’unica persona nera nella stanza – ed è importante riconoscerlo chiedendosi: chi decide quali sono le parole giuste da usare? Chi sceglie come devono essere chiamate le persone che non appartengono a quello standard?». L’autrice dello Sri Lanka mette poi in guardia dalle sterili polarizzazioni del dibattito sulla lingua, chiedendosi come sia stato possibile premiare due comici che usano parole razziste, giustificandosi con la libertà di poter fare ironia e prendendosela con una presunta censura linguistica: «Ma non si tratta di censura: non è meglio se certe parole muoiono nel momento in cui de-umanizzano i soggetti a cui sono rivolte?».

L’incontro tuttavia si conclude con un generale ottimismo: «Qualcosa sta cambiando – sostiene Vera Gheno – ma, da privilegiati, dobbiamo imparare a fare un passo indietro e ad ascoltare, per creare davvero spazi in cui le persone sottorappresentate abbiano diritto all’autodeterminazione».

 

Tag: , , , ,

Categorie: Cultura

Lascia un commento