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5 Novembre 2021

Razzismo e globalizzazione, un binomio da approfondire

Nel suo ultimo libro l’antropologo Marco Aime ipotizza che un mondo sempre più interconnesso incida sulle discriminazioni e sul concetto di identità

Giovanni B. Corvino

Foto in bn di uomo che beve da boccione con scritta Colored

Oggi il razzismo sembra essere legato alla globalizzazione

Affrontare i temi del razzismo e dell’identità attraverso la storia, l’antropologia e la politologia. È quanto fa il saggio Classificare, separare, escludere dell’antropologo e docente universitario Marco Aime.

COME NASCE IL RAZZISMO
All’interno del quadro occidentale lo studioso esamina le diverse forme di espressione del razzismo e la loro origine. Il primo capitolo è infatti intitolato L’invenzione delle razze perché vengono esplorate le diverse sfaccettature del fenomeno, partendo dal contesto italiano con il Manifesto della razza del 1938, che determinò la cancellazione dei diritti civili dei cittadini italiani di origine o religione ebraica sostenendo che “il concetto di razza è concetto puramente biologico”.
Una visione sostenuta all’epoca anche in altri paesi, come negli Stati Uniti, dove secondo Aime qualsiasi azione di un afroamericano era intesa come “un atto di natura razziale” e pertanto, si pensava che il comportamento delle persone di colore fosse spinto da pulsioni interne più che dalla razionalità. In accordo con questa falsa credenza, ad esempio, ancora oggi molti pensano che i neri sarebbero propensi a votare per un candidato del loro stesso colore della pelle indipendentemente dal programma politico sostenuto. Invece, come la storia ha dimostrato, le scelte politiche degli afroamericani sono sempre state attente alla salvaguardia e promozione dei diritti umani.

RAZZA E IDENTITÀ
Venendo poi al concetto di identità, l’autore identifica negli effetti della globalizzazione parte delle crisi identitarie di molti Paesi.
Ad esempio la decentralizzazione delle produzioni industriali in aree a basso costo, come in Cina, avrebbe determinato il calo delle opportunità lavorative in Europa causando preoccupazione per il futuro e, al contempo, incoraggiando un senso di avversione verso “l’Altro, lo straniero, il diverso”.
Inoltre, tutto ciò avrebbe alimentato il timore della perdita dei valori culturali a causa dell’azione omogeneizzante della globalizzazione, con la presenza sul territorio di catene di aziende multinazionali. Invece come sostiene Aime “in questi ultimi trent’anni non abbiamo assistito alla ‘scomparsa’ delle culture, semmai a nuove configurazioni delle stesse”, in cui il progresso tecnologico ha avuto un ruolo chiave per molte aziende.
Le imprenditorialità locali infatti non sono andate perdute, perché in un mondo continuamente interconnesso, esse hanno avuto la possibilità di portare il proprio contributo valoriale in un mercato ben più ampio. Guardando all’Italia, il celebre caso torinese della gelateria Grom, con oggi oltre dieci filiali all’estero, è proprio espressione di un marchio territoriale che ha cavalcato l’onda dei mercati esteri e dell’avvento dei social, proponendo una propria visione del “gelato come una volta” che ha avuto ampio successo.

I VOLTI NUOVI DEL RAZZISMO
A partire dalla fine del Novecento in Italia si sviluppa poi un movimento politico antimeridionalista. Questo non è stato un fenomeno isolato perché in molti altri paesi europei sono nati e nascono movimenti fondati sulla difesa dell’identità locale, i quali fomentano il cosiddetto “nanorazzismo”.
Con quest’espressione Aime riporta il pensiero del filosofo camerunese Achille Mbembe, intendendo quella forma di pregiudizio che si esprime nei gesti in apparenza neutri di ogni giorno, una battuta, un’allusione, una barzelletta e così via. In questo modo, diventa facile ad esempio apostrofare i genovesi come avari, i napoletani allegri e furbi, i romani sbruffoni, i piemontesi falsi e cortesi.
Pertanto, è nei gesti della quotidianità che il razzismo, indipendentemente dalle proprie origini storiche, ha modo di perpetuarsi e rinvigorirsi con nuovi stereotipi.

UN APARTHEID SILENZIOSO
Considerando tale assunto, il libro si conclude con un’analisi della situazione politica globale, in cui la definizione d’identità è connessa a quella di razza proposta oggigiorno, continuando a creare dibattito a livello politico.
Seppur la ricerca abbia mosso grandi passi verso definizioni condivise su questi temi, la politica internazionale non sembra essere dello stesso parere. Come ricorda Aime, “basti pensare che per ogni km di Muro di Berlino abbattuto sono stati costruiti, in Europa, 172 km di nuove frontiere ufficiali”.
Ne consegue che il nuovo modello di cittadinanza europea istituita dal Trattato di Maastricht del 1992, ha creato secondo l’autore una nuova forma di apartheid, con un forte consenso dal basso che può costituire “un grande pericolo”. Inoltre, tale sistema trarrebbe forza dalla maggioranza dei cittadini, che accondiscendono silenziosamente o che sono semplicemente indifferenti.
Probabilmente le parole di Martin Luther King ricordate da Aime sono più attuali che mai: “Non temo le urla dei violenti, ma il silenzio degli onesti”.

 

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Categorie: Cultura

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