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31 Agosto 2016

Scienz(i)a.TO: computer quantistici prêt-à-porter

Questo mese nella rubrica scientifica parliamo di calcolatori di nuova concezione, di un sistema Gps spaziale e di una tecnica di imaging che imita l’occhio umano

Andrea Di Salvo

Con i computer quantistici

Un computer quantistico

La scienza non si ferma nemmeno ad agosto, ecco quindi alcuni approfondimenti di informatica, fisica e ingegneria.

MONDO A QUBIT
I numeri decimali che usiamo abitualmente possono essere rappresentati anche in un altro modo, per esempio attraverso il sistema binario. Le cifre sono quindi convertite in cifre binarie di 0 e 1 che prendono il nome di bit. La faccenda si sta complicando con i computer quantistici.
Una delle idee di fondo è di sfruttare le peculiarità del mondo quantistico per cambiare il modo in cui i calcolatori trattano l’informazione. Se un computer ordinario usa solo i due stati 0 e 1 per rappresentare un’informazione, quello quantistico utilizza lo 0, l’1 e uno stato frutto della sovrapposizione dei due precedenti. Questi sono i qubit. Un simile dispositivo è esponenzialmente più performante di un comune processore.
Tra i vari risultati di ricerca nell’implementazione di simili device, un team dell’Università del Maryland ha pubblicato su Nature il proprio lavoro riguardante lo sviluppo di un computer quantistico riprogrammabile. La notizia sta proprio nell’ultima parola, perché già altri gruppi sono riusciti a creare dei computer quantistici prima d’ora, ma solo in grado di risolvere particolari problemi. Il nuovo dispositivo, composto da 5 ioni, cioè da atomi elettricamente carichi, è stato in grado di risolvere tre algoritmi in un singolo step, cosa che avrebbe invece richiesto parecchie operazioni per un computer normale. Usando poi un laser, sono stati in grado di riprogrammare la macchina spingendo gli ioni in un differente stato quantistico, cioè riconfigurando i collegamenti tra i qubit. L’importanza aggiuntiva del dispositivo è che è modulare, quindi scalabile. Ora a sfida è rendere il computer quantistico facile da usare come uno smarthphone.

GPS SPAZIALE
Il sistema Gps semplifica la vita degli automobilisti, ma presto potrebbe farlo anche per quella delle sonde spaziali. In uno studio sviluppato da ricercatori del National Physical Laboratory e dell’Università di Leicester, è stato mostrato come le pulsar possano fornire informazioni sulla posizione nello spazio con una precisione pari a 2 km. Se vi sembra ridicola rispetto alla risoluzione centimetrica del Gps terrestre, qui vi ricordiamo le dimensioni in gioco nello spazio…
Ma cos’è una pulsar? Si tratta di una stella di neutroni, quindi di un corpo caratterizzato da uno stato degenere della materia di cui è composto. Sono oggetti estremamente densi: hanno una massa comparabile a quella del Sole, ma concentrata in un raggio di qualche decina di chilometri (come se concentrassimo la massa di una portaerei nel volume di un granello di sabbia). A causa di tale densità, possiedono un campo gravitazionale superficiale circa 100 miliardi di volte più intenso di quello terrestre. Sono caratterizzate da una rapida rotazione, con periodi che vanno da alcune decine di secondi fino ai millesimi di secondo. L’aspetto interessante riguarda l’emissione di impulsi periodici. Senza scendere nei dettagli, gli elettroni incanalati lungo le linee dell’intenso campo magnetico sono costretti a un certo punto a rilassarsi, cioè a cedere parte della loro energia sotto forma di raggi Xgamma. Proprio questa emissione fa registrare l’impulso periodico che, non degradandosi in modo apprezzabile su lunghi periodi di tempo, è stato preso nello studio in questione come orologio di riferimento per individuare la posizione di una sonda spaziale.
I vantaggi sono molteplici dal momento che, dotando di un piccolo telescopio a raggi X le future sonde, sarà possibile garantire una maggiore autonomia delle stesse durante le missioni e un drastico abbattimento dei costi operativi. Attualmente infatti i sistemi di tracciamento, come l’European Space Tracking, possono monitorare solo un piccolo numero di sonde alla volta e inoltre soffrono dei ritardi nella trasmissione dei segnali. Con la nuova tecnica sarà possibile compiere le missioni senza che la sonda venga costantemente monitorata. La portata di questa nuova tecnica si potrà estendere, in futuro, al di là del Sistema solare.

IMITARE LA VISIONE UMANA
David Phillips e alcuni colleghi dell’Università di Glasgow hanno illustrato in un lavoro il modo che hanno trovato per usare un singolo pixel al fine di creare delle immagini in cui l’area centrale è a risoluzione più grande di quella periferica, proprio come avviene negli animali.
Infatti nei sistemi di visione biologica la retina è dotata di una regione centrale, detta fovea, caratterizzata da una grande acutezza visiva, racchiusa da un’area a più bassa risoluzione. Il gruppo ha anche mostrato come muovere questa regione a risoluzione maggiore per seguire oggetti all’interno del campo visivo. Questa tecnica potrebbe cambiare il modo in cui molti sistemi di imaging lavoreranno in futuro perché ha un’applicabilità generale. Nei sistemi attuali vi è un compromesso tra risoluzione e frequenza dei fotogrammi (la frame rate). Questo metodo permette di ottimizzare tale compromesso al volo, consentendo di concentrare l’attenzione su quelle parti dell’immagine che sono di maggior interesse.

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Categorie: Tecnologie

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