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22 Aprile 2021

Ingegnera, femminile singolare

A oltre un secolo dalla prima laurea in Ingegneria di una donna in Italia, il bilancio di genere del Politecnico evidenzia ancora solo il 30% di studentesse: perché?

Fabiana Re

Foto ingiallita di donna in cantiere, Emma Strada - Ingegnera

Emma Strada fu la prima donna in Italia a laurearsi in Ingegneria

È il 1908 quando Emma Strada si laurea al Politecnico di Torino. È la prima donna in Italia a portare a termine un percorso di studi in Ingegneria e lo fa in grande stile, con un voto di laurea tra i migliori dell’ateneo. La sua carriera è costellata di lavori importanti, tra la progettazione di gallerie e ferrovie e la ricerca universitaria. Il tutto muovendosi in un mondo professionale ostile e maschilista, in cui le poche donne ingegnere sono guardate con un misto di diffidenza e sarcasmo. Le materie tecniche sono ritenute “cose da uomini”: fino agli anni ’50, la presenza femminile nelle aule del Politecnico rimane una rarità.

IL POLITECNICO OGGI
A oltre un secolo dalla laurea di questa pioniera dell’emancipazione, cos’è cambiato? A dircelo è il primo bilancio di genere pubblicato dal Politecnico di Torino per l’anno accademico 2019/2020.
Il documento fotografa un mondo in cui gli studenti maschi sono ancora in netta prevalenza, con un 71,05% a fronte del 28,95% di presenze femminili. Vi sono poi ampie differenze tra i percorsi del ramo ingegneristico e quelli di architettura e design. Mentre in questi ultimi prevalgono numericamente le donne, gli iscritti ai corsi di studio di ingegneria sono per il 74% uomini: lo squilibrio di genere è marcato.
I più ottimisti possono però guardare alla serie storica degli immatricolati a partire dal 2010: quell’anno, le ragazze che scelgono di iscriversi al Politecnico sono il 22% del totale, mentre nel 2019 il dato è salito al 26%. Percentuali che testimoniano una crescita della presenza femminile nell’ateneo, tuttavia ancora troppo lenta.

LA LEGGENDA DELLE PREDISPOSIZIONI DI GENERE
Ragionando per luoghi comuni, la spiegazione di questo divario è presto trovata: ovvio, gli uomini hanno una disposizione innata per le materie scientifiche. Tale credenza è tanto diffusa quanto errata e pericolosa. Secondo i dati del Politecnico, il voto medio di laurea dei due generi è piuttosto simile, anzi, quello delle donne è di un paio di centesimi più alto rispetto a quello degli uomini.
Fior di ricerche hanno dimostrato che non esistono differenze nelle abilità di ragionamento matematico tra uomini e donne: il genere non determina le nostre abilità nel fare calcoli.
Nonostante ciò, lo stereotipo culturale che relega le donne all’ambito umanistico e assistenziale ed eleva gli uomini a depositari della conoscenza scientifica è ancora molto diffuso e inizia a “fare danni” sin dall’età scolastica. Vari studi hanno dimostrato che già dai 6 anni bambini e bambine sono coscienti delle presunte differenti abilità di genere in italiano e matematica.
Da allora tale consapevolezza viene calata nella realtà quotidiana, in una sorta di profezia che si auto-avvera: indipendentemente dai risultati scolastici, le ragazze si considerano meno brave dei loro coetanei maschi nelle materie scientifiche e manifestano un’ansia maggiore quando devono affrontare compiti di matematica o scienze. Ecco perché, al momento di scegliere il proprio percorso universitario, poche scelgono l’ingegneria o altre materie scientifiche, anche se la situazione sta migliorando.

APOLOGIA DELLA PAROLA “INGEGNERA”
Anche le parole che usiamo influenzano il nostro modo di guardare il mondo: per questo motivo, normalizzare l’uso dei termini professionali al femminile potrebbe aiutare a sradicare gli stereotipi di genere.
La lingua italiana possiede tutti gli strumenti per declinare nomi di professioni finora utilizzati al maschile per il semplice fatto che in passato l’accesso delle donne a determinate professioni era ostacolato. È il momento quindi di dire “ingegnera” (o ministra, o sindaca) quando si parla di una donna, senza curarsi delle obiezioni sulla presunta cacofonia del termine: come spiega la linguista Vera Gheno in Femminili singolari, nel parlato quotidiano usiamo le parole che ci servono, non quelle che suonano bene.

 

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Categorie: Cultura, Lavoro

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