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7 Maggio 2021

Un libro per… agire (per l’acqua)

Un piccolo ma essenziale volume fa capire perché dobbiamo cominciare a preoccuparci seriamente nei confronti del bene primario per la vita

Valeria Guardo

Goccia sospesa su superficie acqua

L’acqua è un bene primario

Dopo Martin Eden, per il secondo appuntamento di Un libro per… vi proponiamo un breve saggio sul bene più prezioso per la vita sulla terra: l’acqua. Quanto ne sappiamo sull’argomento? Ancora troppo poco. Non a caso da qualche anno a questa parte sono stati pubblicati diversi libri sull’elemento naturale più semplice e allo stesso tempo più complesso da comprendere e trattare. Piccolo atlante dell’acqua (Edizioni Clichy) lo fa magistralmente in poche e semplici pagine, sviscerandone l’importanza a livello biologico e sociopolitico a suon di dati.

Il tema è tanto importante quanto sottovalutato, specialmente ora che siamo presi dall’andamento della pandemia da Coronavirus. Mentre il nostro sguardo è rivolto altrove, però, gli esperti di economia e sociologia sottolineano come in un futuro prossimo potrebbe scoppiare una nuova guerra nel mondo, per il controllo dell’acqua.
Questa risorsa, infatti, è assolutamente insufficiente a soddisfare i bisogni di tutti gli esseri viventi, uomo compreso, a causa dell’enorme spreco che se ne fa. Solo in Italia si ha una dispersione idrica del 42% annuo, una delle più alte al mondo. Secondo dati Istat riportati nello stesso libro, ogni 10 litri immessi nelle reti di approvvigionamento nazionali, almeno 4 vengono persi irrimediabilmente a causa di difetti delle stesse, distrazione o insufficienze varie. Calcolando una perdita giornaliera pro capite di circa 156 litri di acqua potabile, si è osservato che il volume perso in un anno basterebbe a soddisfare le esigenze di 44 milioni di persone nello stesso periodo.

Sono numeri che colpiscono in maniera negativa, soprattutto se pensiamo che oggi circa una persona su tre, nel mondo, soffre le conseguenze di uno scarso (se non nullo) accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari di base.
Circa 2 miliardi di persone, infatti, non dispongono ancora di un bagno ed è costretta quindi a fare i propri bisogni all’aperto poiché, nel 70% dei casi, si tratta di abitanti delle zone rurali dei paesi meno sviluppati. Tale pratica, pericolosa e degradante per la salute pubblica, è in diminuzione solo in un terzo di questi stati, mentre nei restanti è addirittura in aumento.

Le cattive notizie però non si esauriscono qui: il World Resources Institute ha stimato che nel 2040 gran parte degli abitanti vivrà in zone fortemente urbanizzate e si troverà, quindi, in condizioni di forte “stress idrico”. Per darne un’idea più chiara, l’ente ha stilato una classifica dei paesi del mondo suddividendoli per fasce di rischio numerate da 0 a 5. La fascia di minor rischio riporta un indice compreso tra 0 e 0,99; fra 1 e 1,99 si trovano gli stati con rischio moderato, da 2 a 2,99 quelli dove il rischio va da moderato a forte, da 3 a 3,99 i paesi che rischiano un forte stress idrico e, infine, da 4 a 5 quelli che vanno incontro a un rischio estremamente forte di dover affrontare la mancanza di acqua.

Stando a quanto detto finora, sarebbe ovvio pensare che a far parte delle fasce più a rischio nei prossimi vent’anni ci siano soprattutto quelle aree rurali dei paesi in via di sviluppo citati poc’anzi. Ebbene, no. O meglio, non solo: mentre buona parte degli stati centrafricani e dell’America Latina si trovano in una posizione abbastanza rassicurante di rischio leggero (indice 0-0,99), paesi del cosiddetto Primo Mondo quali Usa, Belgio, Portogallo e Italia occupano – insieme a Filippine, Eritrea, Botswana, Bangladesh e altri paesi meno industrializzati – la fascia a rischio forte (3-3,99). Il fattore determinante, lo abbiamo già detto, sarà la densità di popolazione, che porterà alla formazione di megalopoli da svariate decine di milioni di abitanti.

Con questi numeri gli autori del libro vogliono spiegarci come, in realtà, il vero problema non sia la disponibilità dell’acqua nelle diverse aree del pianeta, ma la sua redistribuzione in maniera assolutamente non equa. Negli anni, questa risorsa si è trasformata in un mezzo per creare disuguaglianze, povertà e nuove condizioni di sfruttamento e schiavitù in alcune zone del mondo.
Tuttavia, come ci dimostrano gli ultimi dati, se non agiamo fin da subito ne pagheremo tutti le conseguenze, per una volta senza più distinzione tra aree geografiche.

 

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Categorie: Ambiente

Commenti (1)

  1. JONE ha detto:

    Complimenti!

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