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25 Gennaio 2022

Valeria, raccoglitrice di storie

L’esperienza di una volontaria che collabora con il Centro Interculturale di Torino intervistando migranti e raccontando per iscritto le loro vite

Noemi Casale

Foglio in macchina da scrivere e scritta Stories matter

Raccogliere le storie le fa vivere e ricordare

Da una decina d’anni al Centro Interculturale del Comune di Torino un gruppo di donne si occupa di un’attività particolare: raccogliere storie di migranti. Ci facciamo raccontare il progetto da una di loro, Valeria Griseri, 39 anni, insegnante di scuola materna.

Come avviene la raccolta delle storie?
«Da quando è cominciata la pandemia tutto è cambiato, ma normalmente ci riuniamo con cadenza mensile e, quando decidiamo di partire con una nuova raccolta di storie, ognuna porta al gruppo un tema. Dopo una riflessione insieme, l’argomento che ottiene più consensi è quello su cui si comincia a lavorare: studiamo i concetti chiave e formuliamo tre o quattro domande per ogni focus. Poi scegliamo le persone da intervistare, preferendo coloro che hanno già avuto l’opportunità di elaborare il loro percorso migratorio ma che non conosciamo direttamente. Si fa quindi la prima intervista e, in un incontro successivo di approfondimento, la si rivede con il diretto interessato: la storia è di chi la racconta ed è un suo diritto decidere cosa rendere pubblico e cosa no. In seguito il passaggio fondamentale è costruire la storia attraverso una narrazione fluida e leggibile. L’ultima fase, importantissima, è poi la restituzione della storia: se all’interlocutore va bene, è pronta per essere pubblicata».

Quindi le storie che raccogliete diventano dei libri?
«Sì, spesso. Quando si decide di pubblicare un libro facciamo ancora un lavoro sulle “salienze”, ossia si provano a trovare i fili conduttori o gli elementi presenti in tutte le storie. Anche raccogliendo storie di persone che provengono da parti diverse del mondo abbiamo sempre notato che ci sono tratti comuni che emergono. Questa analisi diventa poi un capitolo del libro. La prima raccolta a cui ho partecipato aveva come tema la scuola, l’ultima che abbiamo fatto e il cui libro dovrebbe uscire a breve, dopo tutte le fatiche legate alla pandemia, è invece sulla paura».

Come ti sei avvicinata a questa iniziativa?
«Ho studiato Comunicazione di massa e multimediale a Torino, dove ho svolto il Servizio Civile per il Comune. Tra le attività di formazione proposte c’erano anche dei corsi sulla scrittura autobiografica che si tenevano al Centro Interculturale e lì ho conosciuto l’antropologa Lucia Portis, la nostra coordinatrice. Durante questi corsi, con le compagne ci siamo rese conto che avevamo tutte un interesse comune legato alle storie di vita. Così abbiamo formato questo gruppo di raccoglitrici di storie, per dar voce alla moltitudine di persone che hanno vissuti diversi dai nostri e conoscere le vite degli altri, con lo scopo di un arricchimento culturale. A livello personale però mi interessano anche i percorsi di vita delle persone delle valli montane dove abito, per esempio delle donne che fanno parte della confraternita delle “castagnere”, ossia le antiche raccoglitrici di castagne. Raccogliere storie è anche uno strumento per tramandare, per creare una memoria storica».

Ci sono storie che ti sono rimaste più impresse?
«La raccolta che ho più a cuore riguarda il tema della cura: avevamo deciso di intervistare le due parti, cioè la badante straniera e una persona entrata in rapporto con lei, quindi magari la figlia, la sorella o la nipote della persona ammalata ed era stato interessante vedere i diversi punti di vista. Era stato un lavoro molto grande e sono rimasta legatissima a una delle storie che ho raccolto che mi ha colpito nel profondo. È sempre impressionante il legame che si crea tra la persona che raccoglie la storia e quella che racconta. Speriamo di poter riprendere presto l’attività di raccolta che è estremamente arricchente per noi, per chi si racconta e per tutta la comunità».

 

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Categorie: Intercultura

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